Gen 26, 2011
Alla data del settembre 2010 gli impianti installati sul territorio d Capannori sono 111 per una potenza complessiva pari a 650 KW, prodotta da impianti, per lo più di piccola taglia, per una potenza media di 5,86 kW ad impianto. L’energia elettrica fotovoltaica prodotta è così stimabile in circa 725 mila kW. Una quota consistente se si pensa che rappresenta circa il 17% del totale prodotto a livello provinciale. E quanto emerge dal ‘Rapporto sullo stato dell’ambiente a Capannori’ realizzato dal Comune. Un trend in crescita esponenziale grazie alle incentivazioni statali del ‘conto energia’ e anche alle politiche portate avanti dall’amministrazione Del Ghingaro a partire dal 2005 e dall’installazione, nel 2007, di un impianto fotovoltaico da 20KW sul tetto della sede comunale di piazza Aldo Moro. (altro…)
Gen 26, 2011
Il Tirreno
CAPANNORI. L’amministrazione comunale ha fissato al prossimo 14 febbraio la data di inizio delle iscrizioni ai servizi scolastici comunali di mensa e trasporto. I costi di entrambi i servizi restano invariati anche per il prossimo anno scolastico.
«Una scelta importante – dichiara l’assessore alle politiche educative, Leana Quilici -, che abbiamo fatto per garantire servizi fondamentali come quelli scolastici a costi davvero accessibili. Costi che non vengono ritoccati da alcuni anni e che sono tra i più bassi di tutta la Toscana. Una scelta che assume una rilevanza particolare alla luce dei forti tagli alla scuola da parte del governo centrale e per il momento di crisi economica che ancora continua a pesare anche su molte famiglie del nostro territorio».
Il trasporto scolastico è rivolto agli alunni che frequentano le scuole del Comune che risiedono a più di 500 metri dalla sede scolastica ed è organizzato sulla base di bacini di utenza che sono quattro e riguardano gli altrettanti istituti comprensivi di Capannori, Camigliano, S. Leonardo in Treponzio e Lammari. I percorsi vengono individuati ogni anno con i punti di salita e di discesa in base alle richieste presentate dalle famiglie. Per l’anno scolastico 2011-2012 la quota a carico degli utenti rimane invariata e ammonta a 26 euro mensili andata e ritorno e a 13 euro solo andata o solo ritorno. Per il mese di settembre la quota è ridotta del 50% per gli utenti della scuola primaria e della scuola dell’infanzia. Per il mese di giugno è ridotta del 50% per gli utenti della scuola primaria.
Il servizio di trasporto per gli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado è organizzato sulle linee di trasporto pubblico locale, per cui ogni richiesta di informazione e attivazione dovrà essere rivolta all’azienda Vaibus.
Il servizio di ristorazione scolastica viene garantito a tutti gli alunni che frequentano le scuole dell’infanzia, primarie, e secondarie di primo grado che ne facciano formale richiesta dietro presentazione giornaliera dell’apposito buono pasto. I pasti sono prodotti secondo menù stabiliti nel centro di cottura o dove sono presenti nelle cucine annesse alle scuole.
I menù vengono elaborati da un dietista e sono due: uno per l’autunno-inverno ed uno per il periodo primavera- estate e sono distinti per fasce di età.
I menù variano e si alternano su 4-5 settimane per garantire un’opportuna rotazione.
Sono inoltre previsti menù specifici per particolari patologie, la cui somministrazione è prevista solo dietro certificazione medica e per motivi etico-religiosi su richiesta dei genitori. Per monitorare la qualità del servizio mensa da qualche anno è stata istituita un’apposita commissione mensa regolata da un protocollo d’intesa stipulato con i dirigenti scolastici. Si tratta di un organismo istituito presso ciascuno dei quattro Istituti Comprensivi attraverso il quale viene assicurata la partecipazione dei genitori.
Un blocchetto da 20 buoni pasto costa 50 euro ed è acquistabile all’Urp del Comune e presso gli sportelli al cittadino della zona nord a Marlia e della zona sud a S. Leonardo in Treponzio.
Gen 23, 2011
Il Tirreno
Sarà un importante big dello sport a premiare i campioni sportivi capannoresi che si sono particolarmente distinti nel corso del 2010. L’amministrazione comunale sta lavorando all’organizzazione della terza edizione dell’Albo d’Oro Sportivo. Anche quest’anno l’ente di piazza Aldo Moro intende dare un riconoscimento a tutti gli atleti e a tutte le società sportive capannoresi che nel 2010 si sono messi in evidenza a partire dal livello regionale e fino al massimo livello, in qualsiasi disciplina e categoria. Le società sportive, i cittadini, e chiunque sia in possesso di notizie in merito può segnalarle all’ufficio sport del Comune allegando anche eventuale documentazione con foto e articoli giornalistici. Info: 0583 428428.
Gen 23, 2011
Il Tirreno
Tra tra febbraio e marzo la “CapannoriCard”, la tessera magnetica ricaricabile che sostituisce i buoni pasto cartacei per il pagamento della mensa scolastica, si estenderà ad altre scuole.
La tessera può essere richiesta e ricaricata all’Urp del Comune e ai due Sportelli al cittadino di Marlia e S. Leonardo in Treponzio. Grazie a un sistema informatizzato, l’importo speso viene automaticamente scalato dal totale. E’ possibile controllare il saldo via internet e tramite una postazione nel palazzo comunale oppure ricevere una notifica via sms sul proprio telefonino.
Ad annunciare l’estensione del nuovo servizio è l’assessore alle attività educative, Leana Quilici:.«I risultati positivi di questa prima sperimentazione ci spingono ad andare avanti su questa strada – spiega Quilici -, perché la “CapannoriCard” costituisce, non solo un modo di pagamento del servizio mensa più efficace, trasparente e semplice per i cittadini, ma anche un migliore sistema di gestione del servizio mensa. Il Comune ogni giorno deve assicurare oltre 1.700 pasti – prosegue Quilici – cercando di coniugare i criteri di attenzione alle risorse e alla qualità con fattori importanti come le diete particolari per questioni di salute o di cultura e religione. La nuova tessera magnetica si è dimostrata capace di soddisfare tutte le varie esigenze e per questo abbiamo deciso di dar vita ad un secondo step di diffusione per poi estenderla progressivamente a tutte le scuole in collaborazione con i dirigenti degli istituti comprensivi».
Nelle scuole interessate dal nuovo sevizio informatizzato, Capannori è il primo comune della Piana ad adottarlo, sarà installato un Pos per la segnalazione diretta delle presenze alla mensa che permetterà di segnalare con più precisione e maggiore tempestività il numero di pasti da ordinare al servizio ristorazione.
I genitori possono decidere di ricaricare la tessera dell’importo desiderato e il sistema informatizzato provvede automaticamente a scalare i pasti ogni volta che il bambino risulta presente alla mensa scolastica. Tutte le operazioni di ricarica vengono effettuate on line e memorizzate nel sistema per cui anche lo smarrimento della tessera non comporta alcuna perdita di denaro. Ciascun utente, inoltre, ha la possibilità di controllare istantaneamente tramite internet o all’Urp del Comune la propria situazione relativa al numero dei pasti consumati o al credito residuo.
Gen 21, 2011
MILANO – Il risiko dell’oro blu si prepara a ridisegnare la mappa dell’acqua italiana. Nei prossimi 12 mesi – salvo stop dal referendum di giugno – un po’ di maxi utility italiane, i grandi costruttori di casa nostra e un’agguerrita pattuglia di colossi stranieri si affronteranno in una partita miliardaria: la riorganizzazione della rete idrica tricolore con un’apertura più decisa ai privati. I vincitori si spartiranno un Bingo da sogno: il ricco (e anticiclico) mercato delle bollette – già cresciute del 65% dal 2002 a fine 2010 – e la gestione dei 64 miliardi di euro di investimenti necessari per rimettere in sesto i 300mila chilometri di tubi che trasportano il prezioso liquido dalle sorgenti fino ai rubinetti di casa nostra. Un colabrodo “non degno di un paese avanzato” – come dice tranchant il Censis – che perde per strada 47 litri ogni 100 immessi in rete, con un danno di 2,5 miliardi l’anno.
La strada a livello legislativo è già tracciata: entro dicembre – dice il decreto Ronchi – gli enti locali dovranno aprire definitivamente ai privati questo mercato. Mantenendo la proprietà dell’acqua ma affidandone a terzi la gestione industriale. C’è solo un ultimo (fondamentale) ostacolo per questa rivoluzione che rischia di avere conseguenze importanti anche per il portafoglio dei consumatori: il referendum di giugno che chiede l’abrogazione del provvedimento, lasciando il servizio idrico nazionale in mano allo Stato. Ma quanta acqua potabile abbiamo in Italia e perché la nostra rete è in condizioni così disastrose? Chi saranno i protagonisti di questa corsa all’oro blu? Ed è vero che con lo sbarco dei privati nei rubinetti di casa pagheremo bollette molto più alte?
Un tesoro dal cielo
Giove pluvio ha avuto un occhio di riguardo per il Belpaese. Sull’Italia, certifica Eurostat, cadono in media 296 miliardi di metri cubi l’anno di pioggia (per il 42% al nord) cifra che ci mette al sesto posto nel continente dietro Francia (485), Norvegia (470), Spagna (346) e vicini a Svezia (313) e Germania (307). Al netto dell’evaporazione e dei deflussi abbiamo accesso a 157 miliardi di metri cubi (3mila l’anno per abitante). Un capitale immenso che però – come spesso accade nel nostro paese – non riusciamo a far fruttare visto che in rete pompiamo “solo” 136 metri cubi a testa ogni dodici mesi. Dove si perde tutto questo ben di Dio che piove dal cielo? In buona parte nei fiumi e sottoterra. “L’Italia non ha gli invasi necessari per conservare questo tesoro per i periodi siccitosi”, ripete da anni l’Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (l’agricoltura consuma 20 miliardi di metri cubi l’anno contro i 16 dell’industria e i 5,2 per consumi domestici). I 337mila chilometri di acquedotti tricolori ci danno così accesso solo a un terzo di quanto è disponibile in pozzi e sorgenti. E quando bene siamo riusciti a imbrigliare l’acqua in un tubo, non riusciamo a trasportarla sana e salva a destinazione: di100 litri raccolti alla fonte, al rubinetto ne arrivano solo 53. A Bari, certifica l’Istat, bisogna mettere in rete 206 litri per riuscire a consegnarne 100. A Palermo 188, a Trieste 176. Milano (dove i smarriscono solo 11 litri ogni 100) e Venezia (9) sono mosche bianche in questa liquidissima galassia di sprechi che butta dalle sue falle – calcolano Civicum e Mediobanca – qualcosa come 2,5 miliardi di euro di oro blu ogni anno. In Germania, per dire, la dispersione è di sette litri su 100 (e lì è una cifra che fa scandalo) mentre la media europea è del 13%.
Il quadro di regole
Chi gestisce oggi la rete idrica nazionale? Cosa cambierà con il decreto Ronchi che – salvo successo del referendum – allargherà la presenza dei privati nel settore da fine 2011? Fino a pochi mesi fa il quadro di regole era quello disegnato dalla legge Galli a metà degli anni ’90. Un’Italia dell’acqua “federale” divisa in 92 Ambiti territoriali ottimali (Ato) pubblici – prima se ne occupavano 8.500 comuni – che dopo aver steso un programma di interventi necessari per migliorare la rete dovevano riaffidare il servizio. Una piccola rivoluzione accompagnata dal passaggio da un sistema tariffario rigido (regolato dal Cipe per tutto il paese) a una tariffa reale media in grado di coprire gli investimenti e un rendimento garantito al gestore (il 7%). Con un tetto di incremento annuo per i prezzi al consumo fissato comunque al 5%. La metamorfosi però va ancora a rilento. A 15 anni dalla riforma, dei 92 Ato – dice il Blue Book 2010 di Utilitatis – solo 72 hanno provveduto ad affidare il servizio. E l’acqua è ancora saldamente in mano pubblica. Ben 34 Ato hanno girato la gestione a realtà controllate al 100% da enti locali. In tredici casi è stata passata a società quotate ma a forte presenza pubblica come le multitutility e in altri dodici ad aziende miste pubblico-privato. Solo 6 Ato – di cui cinque in Sicilia – hanno consegnato le chiavi dei loro acquedotti (ma non la proprietà) interamente ai privati. Cosa cambierà a fine 2011? Il Decreto Ronchi farà decadere tutti gli affidamenti in house, quelli a società interne, a meno che non si apra il capitale per almeno il 40% a un socio privato. Le municipalizzate potranno invece conservare la gestione solo se la quota pubblica del loro capitale scenderà sotto il 40% a giugno 2013 e sotto il 30% a fine 2015.
I nuovi padroni dell’oro blu
Chi sono i protagonisti privati di questo risiko dell’oro blu? L’identikit dei concorrenti ai nastri di partenza è già abbastanza chiaro. Anche perché molti di loro hanno già messo uno zampino nel mercato idrico nazionale e si stanno organizzando da tempo per la grande partita della privatizzazione. A far gola non è soltanto il business dell’acqua in sé. Anzi: “Il tetto al 5% dell’incremento delle tariffe è un limite che spaventa molti potenziali investitori”, ammette Adolfo Spaziani, direttore di Federutility. Il boccone più grosso sono gli investimenti necessari per tappare le falle degli acquedotti nazionale: una torta gigantesca da 64,1 miliardi nell’arco dei prossimi 30 anni (compresi interventi su fogne e impianti di depurazione), stima il Blue Book 2011, che fa gola anche ai costruttori. Da dove arriveranno questi soldi? Per il 14%, stima il Censis, da aiuti pubblici a fondo perduto. Per il resto saranno finanziati con le bollette. L’aumento necessario tra il 2010 e il 2020 – calcola Utilitatis – sarebbe del 18%. Soldi. Tanti. Che hanno già attirato diversi pretendenti al business dell’acqua privata. La pattuglia tricolore vede in campo tre big e qualche comprimario. Acea, la municipalizzata romana nel cui capitale sta crescendo rapidamente il gruppo Caltagirone (attivo nelle costruzioni), ha già oggi 8 milioni di utenti in diversi Ato a cavallo tra Lazio, Toscana e Umbria. Non solo. La società capitolina non ha mai nascosto il suo interesse per l’Acquedotto Pugliese (che Nichi Vendola sta cercando di blindare in mano pubblica) e ha iniziato a muovere i suoi primi passi anche verso la Lombardia. L’astro emergente – pronto a sfidare Acea per la leadership tricolore – è la Iren, la utility nata dalla fusione delle municipalizzate di Genova, Torino, Parma, Piacenza e Reggio Emilia e partecipata da IntesaSanpaolo. Opera già in Emilia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Sicilia. E ha stretto un’alleanza azionaria di ferro con F2I, il fondo per le infrastrutture di Vito Gamberale, pronto a una scommessa importante sul business dell’acqua. Alla finestra c’è anche la Hera, la utility bolognese, forte nella regione d’origine ma ai nastri di partenza – almeno in apparenza – con piani meno ambiziosi. Mentre A2a e Acegas si muovono per ora solo a livello locale. Chi sono i big stranieri pronti a scalare l’acqua tricolore? Due hanno già scoperto le carte: Suez, il colosso transalpino, in campo a fianco dell’Acea, con cui già lavora in Toscana e Umbria e il rivale francese Veolia, che distribuisce l’acqua nell’Ato di Latina, a Lucca, Pisa, Livorno e nel Levante ligure. Una sbirciatina al dossier Italia l’hanno data gli inglesi di Severn Trent (che ha già messo un piedino in Umbria) e gli spagnoli di Aqualia sbarcati da tempo a Caltanissetta.
Il rebus pubblico-privato
Meglio per l’utente un gestore pubblico o privato? La risposta naturalmente non è facile. E l’esperienza degli ultimi anni non aiuta certo a sciogliere il dubbio. Ci sono amministrazioni pubbliche più che efficienti ed economiche – Milano ad esempio spreca poca acqua e ha una delle tariffe più basse d’Europa – e altre con bilanci e acquedotti che fanno acqua in tutti i sensi. I privati hanno spesso prezzi più alti ma in media tendono a garantire più servizi e investimenti. Proviamo a far parlare i pochi dati disponibili. Primo fatto: in assenza di un’authority che regoli il settore nessuno, pubblico o privato, riesce a rispettare gli impegni. Gli investimenti previsti dagli Ato nei loro primi anni di vita sono stati realizzati solo al 56%, dice il Coviri, l’ente che vigila sul settore con pochissimi poteri. Le realtà a controllo pubblico sono riuscite a mandarne in porto molto meno del 50% (“anche perché lo stato taglia gli stanziamenti e loro non riescono a finanziarsi sul mercato o con nuove tasse”, sostiene Spaziani). Le Spa miste e le municipalizzate li hanno ridotti “solo” del 13% in base agli studi del Blue Book. “Però da quando nell’acqua operano i privati l’occupazione è scesa del 30% e i consumi sono aumentati della stessa misura”, sottolinea Marco Bersani del Forum movimenti per l’acqua pubblica. La legge Galli, per assurdo, ha ingessato il sistema. Fino al 1995, quando pagava tutto Pantalone (alias lo Stato), si spendevano 2 miliardi l’anno per la manutenzione di acquedotti, fogne e depuratori. Oggi siamo fermi a 700 milioni. Roma taglia e i privati, in assenza di meccanismi tariffari premianti, investono con il contagocce.
Il nodo delle tariffe
I privati fanno pagare di più l’acqua? Questo, naturalmente, è il dato che interessa di più l’utente finale che fino a quando vede l’acqua scorrere dal rubinetto di casa si preoccupa più del suo portafoglio che dei buchi della rete a monte. Anche qui – sul fronte della bolletta – i dati empirici sono per ora pochi. Certo gli affidamenti degli Ato ad aziende miste o private che hanno promesso più investimenti hanno comportato un balzo secco della bolletta. Nel 2002 ogni italiano pagava in media 182 euro l’anno per il servizio idrico. Oggi siamo a 301, il 65% in più. Gli abitanti di Toscana (462 euro di spesa l’anno), Umbria (412), Emilia (383) e Liguria (367) – le regioni dove il processo di privatizzazione è più avanti – sono quelli che scontano prezzi più elevato (i lombardi, per dire, spendono 104 euro). Dei 25 Ato con tariffe al top, 21 sono privati o in gestione mista. “Ma una spiegazione c’è – dice Spaziani – . Lì si investe di più mentre gli Ato a gestione pubblica privilegiano per ovvi motivi di consenso politico la tariffa bassa al servizio efficiente”. Ma non sempre è così: “Ad Agrigento c’è la bolletta più alta del paese e l’acqua arriva due volte la settimana e solo in due terzi della città – dice Bersani – . Salvo poi scoprire che il gestore privato Girgenti Acque ne vende un bel po’ a Coca Cola per fare una bevanda gassata”. A Latina – dove il Comune è affiancato da Veolia – i costi sono schizzati “tra il 300 e il 3000%” calcola Bersani e 700 famiglie si autoriducono ogni mese la bolletta pagando il giusto (dicono loro) al Comune.
A fine 2010 un metro cubo d’acqua costava 1,37 euro (con picchi di 2,28 per l’alta Toscana e di 0,66 a Milano). Nel 2020 saremo a quota 1,63, il 18% in più con punte di +75% per l’area di Lecco (che passa alla tariffa media) e del 67% nell’Ato Bacchiglione gestito da Aps-Acegas. “Ma attenzione – dice Giuseppe Roma della Fondazione Censis – restiamo comunque ben al di sotto di quanto si spende nel resto d’Europa”. Un berlinese paga per l’acqua quasi mille euro l’anno, a Bruxelles la bolletta è di 580, a Varsavia 545. A Barcellona, Oslo, Helsinki e San Francisco siamo al doppio dei 200 dollari della capitale italiana. “Purtroppo dobbiamo rassegnarci – spiega Roma – . Il dilemma pubblico-privato è un falso problema: il sistema fa acqua da tutte le parti. Due italiani su dieci non hanno il servizio di fogna, al sud quasi uno su due riceve acqua non depurata. Non importa chi gestirà la rete in futuro. Per far funzionare la rete dobbiamo alzare e non di poco il prezzo. Le tariffe oggi riflettono solo la ricerca di consenso politico”. Senz’acqua, in fondo, non si può stare. E – come ricorda Spaziani – per la bolletta idrica spendiamo oggi solo lo 0,8% delle uscite mensili contro il 2% per il telefono, il 5,3% in elettricità e riscaldamento, il 14,9% per i trasporti e lo 0,9% per le sigarette. Per non parlare, dulcis in fundo, del più assurdo dei paradossi: in Italia una famiglia di 4 persone spende in media 340 euro l’anno in acqua minerale. Trentanove in più di quanto stanzia (lamentandosi) per quella che arriva dal rubinetto.