All’indomani delle elezioni regionali si è aperta, all’interno del Partito Democratico e dell’intera coalizione di centro sinistra, un confronto sulle prospettive e sugli scenari futuri.
E’ capitato anche a me, primo cittadino di un comune di medie dimensioni, di essere sollecitato ad indicare il partito che vorrei, quello che fa parte dei sogni e dei progetti.
Ci siamo divisi, fino ad ieri, partendo dalle radici storiche alle quali ognuno di noi non intende rinunciare, quasi come se potessimo costruire un soggetto politico moderno, riformista e innovativo guardando sempre all’indietro.
Si arriva oggi a parlare di “partito dei sindaci o degli amministratori” per affermare la necessità di far contare di più, a livello nazionale, chi opera quotidianamente tra le gente, siano essi operai, imprenditori, insegnanti o casalinghe.
Anche questo dibattito, legittimo e sensato, indica che stiamo continuando a guardare dentro il nostro ombelico senza saper leggere i cambiamenti sociali e culturali che attraversano le nostre comunità, che incidono profondamente sull’elettorato, anche su quello un tempo più orientato e consolidato.
L’alta percentuale di non votanti non è l’unico dato oggettivo, ma è sicuramente il segnale chiaro di una sfiducia nei confronti della politica e della sua classe dirigente. Dobbiamo dircelo con chiarezza, senza tentennamenti.
Da qui allora dobbiamo riprendere il cammino intrapreso, un percorso “per” e “con”, non un continuo distinguo tra “ex” e “contro” che appaiono costretti a stare insieme, ma poco convinti della possibilità di costruire qualcosa di innovativo. O peggio ancora perpetrando il rito trito e consunto delle correnti che, invece di sparire al termine di un congresso, continuano ad agire e a riunirsi costituendo una sorta di “partito nel partito”.
Da dove partire? Sicuramente dalla gente, dai problemi quotidiani delle persone, di qualsiasi classe sociale essi siano. E quelle persone vanno intercettate là dove vivono, senza pensare che oggi le forme di comunicazione politica tradizionali abbiano la stessa capacità di coinvolgimento di trent’anni fa. E’ vero, chi amministra un ente locale, ha una percezione più diretta della realtà, tocca con mano i problemi dei cittadini, di quelli che si occupano di politica, ma anche e soprattutto di quanti ne sono delusi, amareggiati, a volte arrabbiati. Ripartiamo dal cuore delle questioni, dal cuore delle persone, con la consapevolezza che oggi la società vive un cambiamento che interessa da vicino le forme di partecipazione e di rappresentazione. Torniamo tra gli operai, tra gli insegnanti, tra i commercianti, tra i disoccupati, tra i precari, in poche parole tra la gente, quella reale, non quella virtuale; portiamo un progetto politico che parta dal loro vissuto e renda credibile la nostra proposta di alternativa ad un Governo che sta anestetizzando la coscienza civile. In Toscana lo abbiamo fatto spesso e anche gli ultimi risultati dimostrano che quando c’è una proposta chiara e forte, le persone sanno riconoscerla ed apprezzarla.
E’ questo il Pd che vorrei, un partito proiettato al futuro, aperto alle sfide del cambiamento, un partito con meno riunioni autoreferenziali e più occasioni di incontro con chi oggi guarda la politica con disillusione e sospetto. Un partito che sappia decidere e fare chiare scelte di campo. Che si parta dagli amministratori, dai vertici regionali o nazionali è poco importante; quello che conta è metterci subito al lavoro valorizzando quelle esperienze che hanno dimostrato di saper interpretare la sfida del cambiamento, della modernità,del progresso.