“Conservare oggi non basta. Queste parole descrivono bene, a mio parere, la realtà di Lucca.  La città chiusa dentro le Mura è da tempo ripiegata su se stessa, incapace di cogliere le trasformazioni economiche e sociali che inevitabilmente modificano il tessuto culturale e imprenditoriale di una comunità.

Tanti sono gli esempi: dalla situazione della Cassa di Risparmio di Lucca alle vicende della Lucchese, dalla fuga della Banca d’Italia, alla carenza di iniziative innovative di livello, dalla presenza di un turismo mordi e fuggi che tocca la città ma non porta quel valore aggiunto meritato, alla perdita di appeal da parte del sistema della ricerca. Ma ancora di più pesano i deficit infrastrutturali, le incertezze comprensoriali sulla gestione dei rifiuti urbani e industriali, la timidezza rispetto allo sviluppo delle energie alternative, i tentennamenti rispetto ad una modifica dell’impostazione del welfar locale e collegato a quella della sanità.

Si tratta di un processo iniziato da tempo, come testimoniano anche alcuni dati economici rilevanti, che ferisce l’orgoglio del cittadino lucchese, consapevole di vivere in un piccolo gioiello architettonico con una identità culturale di assoluto rispetto.

Da amministratore (ovviamente non indenne da critiche) sono convinto che questa situazione richiederebbe una terapia d’urto in grado di scuotere il torpore che sta addormentando la città, per restituire ai lucchesi quel prestigio che loro compete.

E di fronte ad una città senza anima, entra inevitabilmente in gioco la classe dirigente, fino ad oggi incapace di misurarsi con i cambiamenti in atto, pronta a tamponare le emergenze che di volta in volta si sono presentate, senza riuscire a prevenire, con soluzioni moderne e innovative, le trasformazioni in arrivo. Quando, infatti, la politica mantiene lo status quo, senza alcun slancio propositivo, senza alcun progetto politico e amministrativo serio e credibile,  il territorio ci rimette.

Perché è evidente che oggi, conservare non basta più e senza una visione ampia e lungimirante si rischia di far finta di voler chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati e non è possibile riportarli indietro. E secondo me non basta l’intelligenza e la scaltrezza di un politico vero come Favilla, perché questo esercizio di stile rimane fine a se stesso, evidenzia l’arte equilibrista e conservatrice (non necessariamente negativa)  di una persona, ma non serve alla città e soprattutto ai suoi cittadini. L’attardarsi in bizantinismi che la gente poco capisce e poco ama fa guardare indietro e questo intrigo post democristiano e’ solo la brutta e sbiadita copia dei veri complessi  e raffinati giochi di potere che la balena bianca lucchese metteva in campo qualche decennio orsono. Insomma, uscendo dalle categorie classiche di destra e sinistra, mi sembra che questo incedere a ritroso faccia perdere punti al territorio, ci sminuisca al confronto di altre realtà e ci releghi in una stagnazione socioculturale pericolosa dalla quale e’ difficile intravedere l’uscita.

Una città europea ha bisogno di una mentalità dinamica e aperta, ha bisogno di rispetto della tradizione senza arroccarsi nella difesa di posizioni anacronistiche, ha bisogno di aprirsi ai cambiamenti culturali e sociali, pur mantenendo saldi i valori di quell’identità che rappresenta un patrimonio condiviso. Manca, in sostanza, un progetto politico e amministrativo di ampio respiro, in grado di rompere l’equilibrio creato dalla conservazione di tanti piccoli poteri, che ledono l’affermarsi del potere più alto della città.

Le ultime vicende sono emblematiche e al tempo stesso simboliche: sapere che la Cassa di Risparmio lascerà Lucca ai margini del potere decisionale, significa disconoscere quel tessuto economico e imprenditoriale che, nei secoli, si è tramandato di generazione in generazione. E allora una classe dirigente che non riesce a valorizzare questo valore aggiunto, è una classe dirigente miope. Dall’altra parte una città vive anche di sogni e di passioni e oggi fa male sapere che una realtà dove forte è il tessuto imprenditoriale non riesce a mantenere una società di calcio a livelli accettabili e al tempo stesso non valorizza le altre eccellenze sportive presenti nel territorio.

Così, da osservatore esterno (e ovviamente criticabile, ripeto) mi auguro che presto i lucchesi si riprendano quel prestigio che appartiene alla loro identità, con uno scatto di orgoglio sappiano riconoscere che da un po’ di anni, sono stati governati da una classe dirigente che guarda al passato e non apre al futuro. C’è bisogno di una riscossa civica, così come è avvenuto in tanti Comuni vicini e lontani, di un ricambio generazionale, di una spinta forte della società civile verso il futuro. Solo dopo questa presa di coscienza potremo impegnarci tutti insieme (come hanno fatto in Versilia contro la Bolkestein)  in un tuffo verso la modernità.

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