Kawtar ha dodici anni, due grandi occhi neri che oggi trasmettono inquietudine. Come ogni mattina entra in classe, prende i libri e li sistema sul banchino. Ma sa che oggi sarà una giornata diversa: accanto ai compiti e alle operazioni di matematica si parlerà della Francia, del terrorismo di matrice islamica. I suoi compagni la guarderanno, forse con occhi diversi, lei che in casa legge il Corano e osserva il Ramadam.

Eppure Kawtar si sente uguale agli altri, con Matteo e Giulia condivide la passione per la corsa, con Ilaria e Isabella si reca spesso in giro per le vie del paese.

E’ nata in Italia, è cresciuta in questo Paese, sì d’estate torna in Marocco, ma poi non vede l’ora di tornare a casa, la sua casa.

Quanto sta accadendo in queste ore non c’entra niente con la sua religione, quello è terrorismo e il terrorismo non conosce confini, non si identifica con il colore della pelle.

Ma lei si sente triste, solo i suoi compagni, avvicinandola e trattandola come se niente fosse cambiato, sanno consolarla.

“Io sono ancora una ragazzina – pensa – ma voglio lottare per un mondo migliore, un mondo di pace”. Lo dice ad alta voce, mentre in classe l’insegnante parla dei fatti di queste ore.

Scende una lacrima, non è tristezza, è una lacrima di gioia: oggi quella ragazzina ha capito che dalle piccole cose iniziano le grandi imprese.

E costruire la pace è quanto di più bello e impegnativo si possa fare. Ciascuno nel proprio piccolo mondo.

 

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