Da giorni il suo nome è’ al centro del dibattito preelettorale. Da quando Rossella Martina della lista Viareggio tornerà bellissima lo ha lanciato nell’arena viareggina, è stato un susseguirsi di endorsement in suo favore. Fino alla clamorosa presa di posizione della senatrice Manuela Granaiola. Adesso Giorgio Del Ghingaro, l’ex sindaco di Capannori che in dieci anni ha fatto del piccolo comune un modello di buon governo studiato a livello internazionale, esce allo scoperto. Lo fa con questa intervista al Tirreno in cui, anche se con cautela, dichiara chiaramente la sua disponibilità a mettersi al servizio di Viareggio. Del Ghingaro, a Viareggio in molti la indicano come il candidato sindaco ideale per la città. Che ne dice? È un’idea che le interessa? «Vorrei in primo luogo ringraziare tutti coloro che, in queste ultime settimane, hanno voluto esprimere parole di apprezzamento e di stima che riconoscono il lavoro svolto a Capannori. Accostare oggi il mio nome a Viareggio significa aver lasciato un segno amministrativo importante e questo, da un lato, mi rende orgoglioso di quanto abbiamo fatto, dall’altro aumenta la consapevolezza che il lavoro di squadra è fondamentale per governare una comunità. Poi chi mi conosce sa che sono appassionato alle sfide, che la normalità mi annoia, che mi butto nelle imprese con tutto me stesso. E che non temo il rischio perché non vivo di politica. Se mettiamo insieme tutti questi tasselli, ammetto che questa nuova sfida potrebbe avere tutte le caratteristiche per indurmi ad alzarmi dalla scrivania del mio studio e farmi tornare in prima linea». A quali condizioni potrebbe decidere di mettersi in gioco per un incarico così difficile e complicato? «Non è il candidato sindaco che deve dettare le condizioni, ma la città di Viareggio che deve riappropriarsi della propria identità ed elaborare un percorso condiviso e partecipato. Un territorio così bello e dei cittadini così vitali meritano amministratori all’altezza. Tre sono le cose fondamentali da cui partire: un programma per risanare il dissesto; un percorso di rinascita della comunità e la riconquista di quell’autorevolezza che questa straordinaria città merita». Quali sono i suoi rapporti col Pd? È ancora iscritto? E che ne pensa del Pd viareggino del commissario Giuseppe Dati (nella foto in alto)? «Prima di iscrivermi al Pd non avevo mai avuto tessere, mi sono sempre impegnato come esponente della società civile. La nascita di un grande partito del centrosinistra che mettesse insieme i valori del cattolicesimo democratico con quelli della sinistra riformista mi spinse a prendere, per la prima volta, una tessera di partito. Ho sempre mantenuto la mia autonomia e indipendenza e non sempre sono d’accordo sulle scelte che, a livello centrale, vengono fatte. Ritengo, per esempio, che si dia poca voce alle esperienze dei territori e agli amministratori locali, quelli che sono in stretto contatto con i cittadini e che, insieme a loro, vivono la quotidianità. Il Pd di Viareggio è lo specchio della dialettica nazionale e vive un forte dibattito al proprio interno. Mi auguro che dopo le analisi, le critiche, le discussioni si arrivi alle soluzioni, che sono poi i “fatti” che i cittadini vogliono». Rossella Martina, Manuela Granaiola, associazioni come Amo Viareggio, imprenditori, professionisti stimati: come base elettorale non sarebbe male. Forse potrebbe perfino prescindere dal sostegno del Pd o no? «Ritengo che Viareggio abbia bisogno di una risposta alta e unitaria. Non bisogna escludere ma includere in questa impresa che deve necessariamente partire dalla drammatica situazione del bilancio dell’ente. È importate che il Pd, insieme agli altri partiti e ai movimenti che credono nella rinascita della città, si assuma la responsabilità di ridare dignità a Viareggio facendo tesoro degli errori fatti, ma non soffermandosi sulle inevitabili dietrologie e sulle lotte interne. Per rimettere in moto una città e dare nuovo slancio ad una comunità e alla sua cultura lo sguardo deve rivolgersi al futuro». Ha avuto modo di approfondire l’esame della situazione viareggina? Che ne pensa? Come fa una città ridotta così a rialzarsi? «Sì, ho approfondito le carte, dalla dichiarazione del dissesto alla relazione del Mef, passando anche dai verbali dei revisori dei conti agli articoli di stampa, fino agli interventi appassionati di molti cittadini. La situazione è piuttosto complicata ed è necessario che la città ne sia consapevole. Però Viareggio, con la sua storia e il suo prestigio, non può permettersi di rimanere in ginocchio: bisogna rialzarsi, mettersi al lavoro subito e individuare un percorso concreto per uscire da questa situazione». Tre cose concrete da fare subito. «Credo che un elemento significativo nel percorso di risanamento siano la trasparenza e il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini. Bisogna individuare gli strumenti per declinare in maniera concreta i modi con i quali la gente comune, assieme alle forze politiche, possa prendere conoscenza e dare una mano a chi è chiamato a governare la città. Per esempio: la curva della spesa pro capite per lo smaltimento dei rifiuti è sproporzionata alle effettive capacità di spesa del cittadino medio, è indispensabile portare elementi di innovazione che contengano i costi. Non è poi pensabile che non ci si doti quanto prima di un regolamento urbanistico moderno e trasparente in grado di far ripartire quella parte dell’economia che da troppi anni è mortificata. Un rapporto chiaro e forte con il mondo imprenditoriale e con il mondo del lavoro darà un’ulteriore spinta propulsiva alla partecipazione attiva del cittadino. Le riscossioni: non si può pensare di aumentare i tributi quando c’è un’evasione assolutamente sproporzionata rispetto alle medie nazionali e locali. Qui bisogna intervenire e velocemente». Quando diventò sindaco di Capannori il Comune era sull’orlo del predissesto, ne ha risanato i conti e lo ha fatto diventare un modello. Un risultato replicabile oppure le due realtà, Viareggio e Capannori, sono troppo diverse? «Nessuno ha la bacchetta magica e nessun territorio è uguale a un altro. I risultati raggiunti a Capannori sono il frutto un’azione collettiva e non delle capacità del singolo. Io ho semplicemente “allenato” una squadra determinata, coesa e appassionata. Si tratta di elementi che possono essere applicati anche a una realtà come quella viareggina che ha dalla sua un ambiente e una cultura che di per sé sono già straordinarie risorse da recuperare e valorizzare. Quali rapporti ha con Viareggio? La conosce, la frequenta, ci lavora? E per come è ora, depressa e malandata sotto tutti i punti di vista, di cosa crede abbia bisogno prima di ogni altra cosa? «Viareggio è il luogo dei ricordi, delle vacanze, della spensieratezza. Percorrere la lunga passeggiata, guardando e sentendo il rumore del mare è, ancora oggi, per me un’esperienza che allontana i pensieri e lascia spazio alla fantasia, al sogno. Ecco, servono fantasia, voglia di sognare e amore per risollevare questa città». Lei, prima che sindaco, è stato un revisore contabile tributarista. Da tecnico: come e in quanti anni si può abbattere un debito di oltre cento milioni senza stremare la città? Lei ha già qualche idea in proposito? Quale? «I tecnici, di solito, rappresentano la situazione in modo oggettivo, ma i tecnici, da soli, non cambiano il mondo. Per ridare ossigeno a questa città serve tempo ma il tempo bisogna guadagnarselo ed è necessario smettere di guardarsi alle spalle. Viareggio deve dare una grande risposta collettiva: tecnici, politici, imprenditori, professionisti, intellettuali ma soprattutto cittadini. Tocca a chi governa restituire entusiasmo e ottimismo che sono elementi assolutamente necessari per cambiare la storia. Le rivoluzioni “si fanno con la pazienza e la fantasia”». Società partecipate, porto, degrado della città: saprebbe già cosa fare? Cosa? «Una razionalizzazione delle società partecipate è uno dei primi punti che, chiunque, deve inserire nell’agenda politica. Inoltre non è pensabile trasformare delle straordinarie opportunità come quella del porto in elementi di criticità. Per quanto riguarda il degrado: la manutenzione ordinaria e il verde pubblico devono tornare sotto il controllo del Comune che, con una programmazione pluriennale, dovrà cambiare volto alla città e restituirla alla sua bellezza». Come giudica, da tecnico e da politico, il lavoro di chi ha amministrato Viareggio negli ultimi quindici anni? «Non mi permetto di giudicare nessuno, parto dal principio che ognuno ha dato il massimo e i risultati, positivi o negativi, non sono sempre direttamente riconducibili alle singole persone». Il fatto che lei non sia viareggino in alcuni ambienti della città viene considerato un limite. Lo ritiene un problema? «Sa, quando mi candidai a Capannori siccome venivo da una frazione a sud del comune, di solito fuori dai circuiti amministrativi – come si sente oggi Torre del Lago nei confronti di Viareggio – mi dicevano che ero un forestiero. Oggi a Capannori non ci sono più frazioni del sud e frazioni del nord: c’è un unico grande comune e una strepitosa comunità. Vorrei che ciò accadesse anche a Viareggio e Torre del Lago. Non si cambiano le cose con le barriere o gli steccati: servono persone realiste, appassionate ed entusiaste che con il lavoro, le idee e la determinazione si mettono in gioco per restituire speranza a questa terra e riportarla al prestigio che merita. Io ci credo».
Luciano Menconi
Il Tirreno Viareggio

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