DI LUCIO CARACCIOLO

Le visite di Gheddafi hanno questo di buono: ci ricordano chi siamo. Il colonnello è tutt’altro che un pazzo. E’ un politico molto realista, che ama divertirsi.
Le sue apparizioni romane, con cavalli berberi e belle ragazze al seguito o da convertire, non sarebbero concepibili altrove. Solo noi siamo sufficientemente incoscienti da concederci alle scorribande dell’«alleato» libico, credendo addirittura di fare i nostri interessi.
Purtroppo le cose non stanno così. Berlusconi non sta facendo gli interessi dell’Italia, ospitando il suo ingombrante amico, più di quanto li facessero l’Italietta giolittiana o quella fascista occupando la Quarta Sponda. Certo, i soci di Tripoli sono ormai parte della storia del nostro sistema economico. Si sono radicati con quote anche rilevanti ai vertici del nostro sistema bancario (Unicredit) o industriale (Fiat), mentre intrattengono relazioni più che privilegiate con l’Eni. E non c’è dubbio che possano contribuire – a modo loro – a frenare il flusso di clandestini attraverso il Canale di Sicilia. Il problema è che mentre loro dimostrano di avere una strategia economico-geopolitica complessiva, noi ci ostiniamo a considerarla superflua. Sicché nei rapporti Roma-Tripoli sono i libici a dettare le condizioni. Persino negli orari e nei contenuti di quella che dovrebbe essere una visita di Stato, ridotta a show mediatico ad uso del colonnello.
La ragione principale della nostra mancanza di strategia sta nel fatto che la politica estera nazionale coincide, secondo Berlusconi, con i suoi interessi personali. In alcuni casi, non c’è dubbio, gli affari privati del nostro primo ministro possono anche giovare all’insieme del paese. Ma postulare la coincidenza fra Berlusconi e Italia appare piuttosto azzardato. Gheddafi conosce bene questo nostro punto debole e lo sfrutta da par suo. Mentre noi cadiamo nell’autoillusione che le apparenti o effettive bizzarrie del leader libico siano folklore. A differenza dei nostri dirigenti, l’élite libica sa bene quello che vuole. Soprattutto sa come far leva sulle nostre debolezze e sui sensi di colpa, più o meno sinceri, che ci derivano dall’ingloriosa avventura coloniale. Ciò spiega anche perché Gheddafi possa pubblicamente fissare una cifra (5 miliardi) come prezzo del suo contributo al contenimento delle migrazioni africane via Libia in Europa.
Non conosciamo ovviamente tutti gli aspetti del più che consolidato rapporto Berlusconi-Gheddafi. Sotto la tenda sono probabilmente intercorse intenzioni e promesse che non verranno alla luce. Ma affidarci completamente alla buona volontà di Gheddafi è piuttosto azzardato. Non solo per quanto riguarda il trattamento piuttosto brusco cui le forze di sicurezza gheddafiane sottopongono i poveracci bloccati sulle coste libiche per evitare che sbarchino da noi. A ben vedere, anche l’influenza libica nel nostro sistema economico, soprattutto bancario, potrebbe rivelarsi meno economica e più geopolitica di quanto appaia. Ma questi sono problemi di troppo ampia prospettiva per poter anche solo essere individuati dal governo.

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