Il sole di Viareggio non è uguale a quello degli altri. Per me ha quel sapore elegante e un po’ malinconico delle estati lunghissime e sudate di un tempo, quell’apparizione estrema dopo i viaggi dell’infanzia pigiati in cinque in una bianchina, o di quei tragitti strascicati dell’adolescenza tra la darsena e la pineta, col pranzo obbligato alla Festa dell’Unitá. Ha quel profumo di bagnoschiuma, dei deodoranti a poco prezzo che sapevano di pino e di montagna, mescolati al salmastro e al sudore sotto la canicola senza l’ombrellone.

Per questo uno come me si aspetterebbe una cittá solida, forte e rassicurante mentre fa un giro in Passeggiata, invece s’imbatte nell’incertezza e nella fragilità di una amministrazione commissariata e di cittadini spaesati di fronte alla politica che non riesce a dare risposte, se non negative come i conti in rosso scarlatto.
Rosso che assomiglia a quei tramonti sul molo, con i pescatori silenziosi e scontrosi, in attesa del colpetto al galleggiante.
Una città così non può che ripartire, una città così deve ripartire.

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