Indebitati, soli, depressi: sono quasi novecento i cittadini sotto la soglia di povertà che nel 2009 hanno chiesto aiuto ai diciotto centri di ascolto Caritas della diocesi. Un aumento del trenta per cento rispetto al 2008, ma pur sempre un fenomeno che mostra solo la punta dell’iceberg.
In tutta la provincia, infatti, si stima che i poveri siano 15mila, vale a dire il 3,84 per cento della popolazione.
Sono allarmanti i dati contenuti nel report “Primo: ascolta”, il dossier realizzato da Caritas diocesi in collaborazione con la Fondazione volontariato e partecipazione. Stando ai dati del rapporto, nel 2009 sono 833 le persone che si sono rivolte ai Centri d’ascolto Caritas: un aumento vertiginoso del 39 per cento rispetto agli utenti del 2008, che erano stati 635. Una crescita esponenziale, così l’ha definita l’arcivescovo di Lucca, monsignor Italo Castellani, che coinvolge sempre più italiani, passati dal 17 al 39 per cento, seguiti da marocchini (20%), rumeni (31,7%), cittadini dello Sri Lanka (8,61 %) e albanesi (3,85 %).
«Nel 2008 la maggior parte delle persone che chiedeva aiuto ai Centri di ascolto – commenta Elisa Matutini, della Fondazione volontariato e partecipazione e dipartimento scienze politiche e sociali dell’università di Pisa – era costituita da donne e cittadini stranieri. Il 2009 è in controtendenza con un incremento di dieci punti percentuale degli utenti di sesso maschile, ossia il 35,5 per cento del totale, e di italiani. Il motivo, probabilmente, è la crisi che ha colpito le manifatture e l’edilizia».
La fascia d’età dei nuovi poveri va dai 35 ai 44 anni (31,6 per cento degli utenti), probabilmente per il fatto che proprio in questo periodo le famiglie lucchesi affrontano la sfida della costruzione di un nuovo nucleo familiare. «A questo proposito – commenta Matutini – la casa è davvero un grande problema: il 50 per cento delle persone che si sono rivolte ai Centri di ascolto Caritas vive in affitto, magari in uno stato di coabitazione forzata o trovando soluzioni di fortuna. Gli italiani abitano per lo più in case di proprietà nel contesto della famiglia di origine. Tuttavia in caso di litigio con il nucleo familiare i nostri connazionali sono i più isolati».
«Nessuno ormai è più sicuro di non cadere nel circuito maledetto della povertà – spiega Raffaello Ciucci, del dipartimento scienze e politiche sociali dell’università di Pisa – poiché la forbice della disuguaglianza si sta allargando in maniera spaventosa: se alcuni anni fa il rapporto fra lo stipendio di un dirigente e quello di un operaio era di 40 a 1, adesso siamo arrivati a 450 a 1. I primi contribuenti in Italia guadagnano 12mila volte tanto quello che percepisce una persona normale. E quel che è peggio è che se lasciamo andare le cose senza alcun controllo la disuguaglianza continuerà a produrre povertà. Ci vorrebbero politiche redistributive e di sostegno all’occupazione, e invece noi stiamo andando nella direzione opposta e proviamo addirittura ostilità per i poveri e gli stranieri. In tutta la provincia stimiamo che ci siano 15mila poveri, nel 2009 la Caritas ne ha aiutati quasi novecento. Sono dati importanti: abbiamo bisogno di elaborare l’umiliazione sociale che devasta le persone che cadono in povertà, ragionare in modo collettivo su questo circuito maledetto al quale siamo tutti vulnerabili, al giorno d’oggi».
«Quello che sta per arrivarci addosso è uno tsunami socio culturale – afferma Gino Mazzoli, psicosociologo Praxis – al quale non si sa come rispondere. A livello politico non si sa, infatti, come agganciare le persone nel bisogno, i cosiddetti vulnerabili. I nuovi poveri sono pressati, sfibrati, a volt indebitati, soli, depressi. E in forte crescita. Dobbiamo attrezzarci con nuovi indicatori di vulnerabilità sociale e con una modalità di avvicinamento non assistenzialistica».
Affermazioni confermate dai fatti.
Se solo il 9 per cento degli utenti chiede sussidi economici diretti, la metà di tutti quelli che si rivolgono alla Caritas vorrebbe un lavoro e rifiuta una condizione di assistenzialismo cronico.