IL Tirreno

Prima erano soprattutto immigrati senza punti di riferimento. Ora la crisi bussa anche a categorie fino a qualche anno fa al riparo dalla povertà. Lavoratori che hanno perso il proprio impiego, giovani istruiti e disoccupati, pensionati, madri e padri separati, in alcuni casi senza un posto dove dormire. Tutte facce della stessa medaglia chiamata povertà, fotografia di una provincia che negli ultimi anni ha visto sempre più cittadini rivolgersi ai centri di ascolto della Caritas. E se nel 2007 gli italiani che chiedevano aiuto rappresentavano il 20 per cento e gli stranieri l’80 per cento, nel 2011 la forbice si è drasticamente accorciata: 40 per cento italiani e 60 per cento stranieri. Il quadro è stato presentato ieri mattina nel dossier “Farsi prossimi”, promosso dalla Caritas e realizzato dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione e verrà reso noto venerdì alle 15,30 nell’Aula Magna della Curia Arcivescovile durante il convegno “Pensare insieme il contrasto alle povertà”. I dati sono stati presentati dal vicario generale dell’arcivescovo, monsignor Michelangelo Giannotti, la direttrice della Caritas Diocesana, Donatella Turri e il direttore della Fondazione Volontariato e Partecipazione, Riccardo Guidi. L’obiettivo non è solo denunciare la situazione di crisi e di povertà che sta coinvolgendo sempre più la nostra città, ma anche pensare a nuove politiche di intervento in collaborazione con gli enti locali e le associazioni del terzo settore del territorio. Ma chi sono i “nuovi poveri”? Nuovi non solo perché caduti recentemente nell’indigenza, ma anche perché appartenenti a categorie prima non interessate dalla povertà. Italianissime famiglie di lavoratori lasciati a casa da un giorno all’altro, persone che sperimentano una frattura all’interno del nucleo familiare a seguito di una separazione o divorzio, immigrati che ce l’avevano fatta a costruirsi una solidità economica e un’integrazione sociale e che ora sono ritornati al punto di partenza, giovani qualificati e donne istruite (più degli uomini), ma più penalizzate: camminano tutti su una linea di confine che mese dopo mese diventa sempre più sottile. Le persone che si sono rivolte ai centri di ascolto sono state 1268 nel 2011 (con un aumento consistente della presenza maschile rispetto al passato), 26 in meno rispetto al 2010. «Ai centri di ascolto della Caritas e nelle nostre strutture arriva sempre di più una percentuale di popolazione attiva, con la compresenza di migranti e cittadini italiani – dice Turri – Ai centri sono tornate persone già conosciute e che non avevano avuto più bisogno, in particolare migranti da tempo nella nostra provincia che hanno dovuto fare la durissima scelta di mandare parte della famiglia nei loro paesi di origine, infrangendo così il percorso migratorio. Arrivano poi persone altamente qualificate, non solo fra i migranti che spesso hanno più difficoltà nel riconoscimento dei loro titoli, ma anche italiani che non trovano sbocchi lavorativi. Questo significa che ormai la povertà non è più standardizzabile». Il peso della crisi e l’aumento del costo della vita colpiscono soprattutto le famiglie con persone adulte (35-64 anni); mentre la popolazione straniera richiedente aiuto è prevalentemente giovanile.

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