Il Tirreno
La vera sfida di Enrico Rossi, candidato del centrosinistra alla guida della Regione, non è vincere le elezioni. Dalla sfidante Monica Faenzi (Pdl) la distanza si aggira sui venti punti: 55% contro il 36%. Grosso modo sono questi i paletti storici tra destra e sinistra in Toscana.
Solo Altero Matteoli, nel 2000, riuscì ad arrivare al 40%, ma il margine di sicurezza per la sinistra è stato sempre rassicurante. No, la sfida per Rossi è un’altra. Non riguarda la Faenzi ma i grigi numeri di una Toscana economicamente depressa. Che da anni registra un Pil appiattito sullo zero. Ancor prima della Grande Crisi, che ha sprofondato il Pil a meno 4,9%.
Io Zen, lui grintoso.Rossi sa che la sua partita si gioca sull’economia. Lo sa al punto che il giorno dell’investitura senza primarie se ne uscì con una battuta non proprio felice verso il presidente uscente Martini: «Il martinismo è finito. Rinnoverò tantissimo rispetto all’attuale governo». E dal palco del teatro del Sale, a Firenze, tra baccalà alla livornese e lasagne, cucinate da Fabio Picchi, lo chef del Cibreo e, in passato, anche di D’Alema a Palazzo Chigi, Rossi aggiunse perentorio: «Rinnoverò tantissimo rispetto all’attuale governo. Il nuovo non sarà uguale al vecchio». Martini si comportò da signore: «Rossi è quello di cui la Toscana ha bisogno adesso. Enrico è più tosto e grintoso di me. Io sono più pacato, dopo dieci anni di Zen ci voleva uno come lui…».
La battaglia Piaggio. Lavoro, sviluppo, occupazione. Sono questi i temi che Rossi in campagna elettorale ha ripetuto come un martello pneumatico. E con un biglietto da visita non da poco: la battaglia per la Piaggio. Anno 1992, Rossi è sindaco di Pontedera da due anni quando scoppia il caso-Piaggio, la fabbrica-città con 12mila dipendenti. Gli Agnelli la vogliono spostare in Campania per beneficiare dei finanziamenti europei. L’allora presidente della Regione Vannino Chiti decide di trasferire la presidenza della giunta a Pontedera. Poi Chiti chiama Rossi. Vuole che capisca bene la portata della sfida. Gli spiega: «Il gesto non è solo emblematico. Se la partita va male bisogna che tu ed io ci dimettiamo». E il giovane sindaco: «E’ la scelta giusta, facciamola». Furono mesi duri. Rossi occupa i binari con gli operai, la Piaggio acquista una pagina del Tirreno per attaccare il Comune, tensioni, accuse, giorni cupi. Poi il 3 marzo 1993 la svolta…
Arriva Giovanni Agnelli. Succede che l’allora presidente della Piaggio, il giovane Giovanni Alberto Agnelli, arriva in Comune senza farsi annunciare. Entra nella stanza del sindaco, gli stringe la mano e, davanti a un caffè, si mettono a parlare, tra iniziali sospetti. Ma tra il giovane sindaco e il giovane rampollo degli Agnelli scoppia la pace e una scintilla di amicizia: la Piaggio resta a Pontedera, Chiti torna a Firenze e Rossi ottiene il battesimo di una carriera politica ai primi assaggi.
Da quel giorno la storia politica di Rossi ha il marchio di un’importante battaglia vinta. Più dei dieci anni alla guida della sanità toscana, Rossi in questi giorni deve aver ripensato alla battaglia per la Piaggio. Come ad un auspicio. Ad una vocazione da non tradire: ripartire dal lavoro, dagli operai, da chi fatica a sbarcare il lunario. Dagli ultimi.
Non siamo fighetti. Il Tirreno un anno fa gli chiese cosa avrebbe dovuto essere il Pd. «Non possiamo essere la sinistra dei fighetti e dei saputelli, di quelli che fanno i riformisti senza mai confrontarsi col popolo, con i lavoratori. La sinistra non può chiudersi nei palazzi del potere e smettere di parlare di giustizia, di eguaglianza e di progresso: se lo fa, che sinistra è?» rispose Rossi. Lui, fighetto, non lo è mai stato. E’ nato infatti da una famiglia operaia, a Bientina, o meglio, «nel padule di Bientina», come ama dire, il 25 agosto 1958. Lida, la mamma, è stata contadina e poi operaia, il babbo Angelo ha fatto il camionista. Ha trascorso l’ infanzia in campagna in una casa senza luce né acqua, all’ombra di una nonna contadina molto importante per la sua formazione. «Si chiamava Santa, era una grande lettrice e aveva fatto le scuole di avviamento. Mi ha aiutato nello studio, era preparata in italiano. Mentre i miei genitori erano comunisti, lei veniva dall’esperienza democristiana», racconta Rossi.
Quanti schiaffi, mamma. Dei primi mesi delle elementari, il candidato del centrosinistra ricorda lo smarrimento, le difficoltà: «La vita in padule è molto solitaria, così quando andai alle elementari, all’inizio mi sentivo un po’ spaesato. Mi ritrovai in una classe di 25 ragazzi: non ero abituato a stare in mezzo a tanta gente. Tutto mi sembrava interessante e mi distraevo facile. La maestra chiamò mia madre e le disse che ero un po’ imbambolato. La mamma mi montò sul manubrio della bicicletta e mentre pedalava piangeva e mi schiaffeggiava. A Natale però fu felice perché le portai una pagella da migliore della classe». Dopo le medie, il liceo classico a Pontedera. Poi l’università a Pisa, dove Rossi si laurea in filosofia nel 1982 con una tesi su Agnes Heller, filosofa ungherese della scuola di Budapest, esponente del dissenso comunista.
Nel segno di Ulisse. Sposato ma separato, Rossi ha un figlio, Cesare, 21 anni, studente universitario di scienze politiche: «E’ un ragazzo serio, determinato, concentrato nello studio. Sono molto soddisfatto di Cesare, che è cresciuto bene, anche grazie a sua madre», racconta Rossi.
Una foto felice con Cesare? «Quando insieme abbiamo letto l’Odissea di Omero. Un libro che affronta i temi del perdersi, dell’avventura e del viaggio di Ulisse…».
La lettura è uno degli hobby di Rossi. Assieme al mare. In qualsiasi momento. Soprattutto da sub. Quando si ritaglia una mezza domenica libera si rifugia nel suo gozzo ormeggiato nel porto di Livorno.
La carezza di Macchiarini. Il resto del tempo Rossi lo dedica alla politica. Almeno da trent’anni. Ancora oggi è funzionario (in aspettativa) del Pd di Pisa. È stato un crescendo lineare: assessore e sindaco a Pontedera, poi assessore e ora, forse, presidente in Regione. «L’interesse per la politica nasce durante gli anni del liceo, grazie agli stimoli di un professore che ha fatto crescere in me la passione per la storia e per l’impegno politico», dice.
Tra i suoi maestri annovera l’ex vicesindaco di Pontedera Renzo Remorini, Giuseppe De Felice, segretario del Pci pisano e Enrico Berlinguer. In generale Rossi dice di essere affascinato da coloro che riescono ad esprimere «momenti di dignità e di emancipazione». Che riescono a commuoverlo. Magari solo per una carezza. Quella che ad esempio il cardiochirurgo Macchiarini diede a un paziente. Come dire che la politica è anche un gesto, una carezza…