Il Tirreno

«In nome dei nostri cari e delle nostre sofferenze vi chiediamo di assumere una posizione forte contro il tentativo irresponsabile ed incivile che impedirebbe il processo per la strage di Viareggio». È la lettera che i familiari delle trentadue vittime hanno inviato ieri al Presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, alle più alte cariche dello Stato, a tutti i parlamentari, al sindaco di Viareggio e al presidente della Regione.
Daniela Rombi, presidente dell’associazione “Il mondo che vorrei” – nei giorni scorsi a L’Aquila per i due anni del terremoto che tante vittime ha fatto causa la complicità dell’uomo – lo ha detto chiaro e tondo al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano a nome dei familiari che l’associazione riunisce: «Non firmi il decreto che istituisce il processo breve». E alla parole istituzionali della prima carica dello Stato, Rombi ha ribadito: «Comunque sia, vigili…».
Perché il processo per il disastro ferroviario che a Viareggio, due anni fa, s’è portato via trentadue vite ed un intero isolato, rischia di venire soffocato in culla. Visto che, in realtà, non è neppure iniziato. Solo ai primi di marzo di quest’anno, infatti, si è tenuta l’udienza camerale che ha dato il via all’incidente probatorio. Il 21 di questo mese i periti (quelli delle parti lese e quelli dei 38 indagati) sono attesi in Tribunale per fissare le modalità delle prove tecniche irripetibili, quando si terranno e dove. A novembre, poi, è atteso il deposito dell’esito del lavoro svolto.
Bastano da soli i due anni trascorsi da quella maledetta notte a raccontare la difficoltà di un procedimento che si gioca tra l’Italia e l’estero (due le imprese europee che contano indagati tra personale e dirigenti), tra normative che attraversano l’Europa per lungo e per largo, tra assi costruiti nella Germania dell’Est e vagoni deragliati sugli italianissimi binari della stazione di Viareggio. Il rischio di andare oltre i tempi fissati dal provvedimento che la Camera va ad approvare è quasi certezza. Senza contare – ricorda Daniela Rombi – che «i 38 indagati per il disastro ferroviario che ha ucciso mia figlia, insieme a tutti gli altri, sono quasi tutti incensurati. E, quindi, molto di loro usufruiranno della riduzione della prescrizione prevista dal provvedimento».
Per gridare no all’oblio, i familiari delle vittime della strage di via Ponchielli saranno domani a Roma, davanti alla Camera, a fianco di chi a L’Aquila ha perso vite e case per i troppi disastri che l’uomo ha saputo fare prima che il terremoto desse il colpo di grazia. Con loro ci saranno i volti dei loro cari: sono due anni che le foto di chi è stato colto dal fuoco dentro la propria abitazione, inerme, fanno il giro d’Italia. E quelle facce di donne, uomini, bambini con su la scritta “uccisi” sono forse l’unico vero ostacolo al provvedimento che la Camera si appresta ad approvare.
Insieme alla voce che si leva dalla lettera inviata a tutto il mondo politico ed istituzionale italiano: «Come familiari delle vittime e sopravvissuti alla strage pretendiamo che sia fatta giustizia attraverso un giusto processo. Processo che, con l’approvazione di questa legge, corre il rischio di essere definitivamente cancellato».
Portandosi via il diritto alla verità e alla giustizia, ma anche lo sforzo che parte dei familiari hanno fatto e stanno facendo per non cedere alle pressioni delle assicurazioni che puntano a liquidare tutti gli aventi diritto – lo ha ricordato più volte, negli ultimi giorni, la stessa Rombi – per evitare il passaggio più temuto: il faccia a faccia in un’aula di Tribunale.

Pin It on Pinterest

Share This