Il Tirreno

Il Banco Popolare dovrà liquidare entro il 5 giugno i 324 milioni di euro del valore concordato della quota che la Fondazione Cassa di Risparmio ha detenuto fino ad oggi nella Cassa Spa. La Fondazione percorrerà poi ogni strada per rientrare nella banca cittadina, possibilmente anche con una partecipazione maggiore, ma non è affatto detto che il tentativo riesca.
È questo lo scenario che si apre dopo la decisione, stavolta unanime, del consiglio di amministrazione e dell’organo di indirizzo della Fondazione che hanno stabilito di esercitare la “Put” (opzione con cui si acquista il diritto di vendere un titolo ad un dato prezzo) e di cedere al banco la partecipazione nella Cassa. Alternative, assicurano i vertici della Fondazione, proprio non ce ne erano.
«È stata una scelta sofferta – spiegano il presidente Giovanni Cattani e il vice Arturo Lattanzi – abbiamo fatto di tutto per rimanere nella banca, ma non potevamo rischiare di perdere 120-150 milioni non esercitando la Put. Scelta peraltro sollecita, oltre che dalle norme, dagli organi di vigilanza. La decisione è stata necessaria e inevitabile dopo la chiusura totale da parte del Banco ad ogni nostra proposta».
Cattani ricorda che era stato aperto un tavolo tecnico per verificare se esistesse un modo per continuare nel rapporto Fondazione-Cassa con il mantenimento di una partecipazione, al minimo un 5% che però garantisse quanto meno la presenza negli organi dell’istituto e nel controllo.
«Avevamo anche espresso disponibilità ad aumentare la nostra quota con un investimento maggiore – aggiunge il presidente – ma dopo che l’incontro era stato aggiornato al 5 febbraio, il giorno 3 ho ricevuto una telefonata da parte dell’amministratore delegato del Banco, il quale mi ha comunicato che nessuna nostra proposta poteva essere accolta e che non ci sarebbe stata alcuna proroga per l’esercizio della Put. A queste condizioni, potevamo in sostanza rimanere con la nostra quota, ma non più garantita e svalutata rispetto ai 324 milioni pattuiti. Insieme all’organo di indirizzo abbiamo fatto una riflessione approfondita e ci conforta il fatto che persone bene informate di ogni passaggio abbiano convenuto che non c’era alternativa alla vendita».
L’auspicio dell’assemblea, nella quale invece erano emerse posizioni diverse, secondo i vertici della Fondazione sarà comunque accolto:
«Faremo ogni passo – garantisce Cattani – per riacquistare una partecipazione nella Cassa, anche maggiore rispetto al passato, ma è chiaro che la nostra offerta è subordinata alla volontà del Banco di accettarla. E tutto dipende dalla strategia con cui l’istituto si sta muovendo».
Intanto la Fondazione vigilerà perché entro il 5 giugno la quota venga pagata nelle forme stabilite, ovvero cash e con titoli del gruppo Banco Popolare che siano di “normale liquidabilità”. Dubbi ci sono allora che tra questi possano rientare le azioni del Credito Bergamasco. La partita è aperta e a questo punto pare di capire che una consistente parte dovrà essere pagata in contanti dal Banco. Resta l’aspetto del rapporto tra Fondazione e Cassa: «La presenza o l’uscita dal capitale della banca – sostiene Cattani – non pregiudica il rapporto tra la Cassa e il territorio. Se il Banco vuole, può mantenere le cose come stanno, insistendo sul ruolo della banca delle piazze. Ma questo accadeva già ora, dato che la nostra partecipazione era comunque minoritaria. Ricordo che la gente identifica l’azione della Fondazione e quella della Cassa. Noi continuremo con i nostri interventi sul territorio».
Per i quali occorrerà però recuperare il rendimento che offriva la quota nella CdR.
«Decideremo come meglio utilizzare la somma ottenuta dalla vendita perché possa garantire un rendimento adeguato – concludono Cattani e Lattanzi – ma ora è necessario che alla compattezza mostrata dall’organo di indirizzo si unisca l’appoggio convinto della città. Non è indebolendo la Fondazione con attacchi continui che si mantiene l’opportunità di recuperare la partecipazione nella Cassa, nè si recupera voce in capitolo sulle sue decisioni».

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