La frase più ricorrente tra i giovani bulli? “Ti faccio tonfa’”. I motivi sono spesso banali, basta anche un’occhiata per creare le premesse di una lite». A parlare è la psicologa lucchese Ersilia Menesini, docente di psicologia all’università di Firenze. Una delle massime esperte sul bullismo, piaga cha affligge anche la nostra città.
I ripetuti episodi di aggressione nel centro di Lucca, l’ultimo una settimana fa con tre ragazzini pestati a sangue da due bulli, hanno lanciato un’allarme sociale. «Oltre il 57% dei 521 studenti di undici scuole di Lucca e provincia che hanno risposto ai questionari tra gennaio e maggio è venuto a conoscenza di atti di bullismo accaduti dentro e fuori le mura delle scuola – dice la Menesini – la Toscana è l’avamposto degli studi sul bullismo e Lucca è una della città più monitorate».
Negli ultimi tempi la maggior parte degli episodi riguardano aggressioni in strada.
«È vero, soprattutto ragazzi, per lo più maschi, che aggrediscono altri coetanei o più piccoli durante le uscite serali. Perché succede questo? Forse alcune vie del centro stanno divenendo simili alla periferia degradata delle metropoli urbane e si riproducono le dinamiche di affermazione tipiche di ambienti chiusi e costrittivi».
La cartina al tornasole è sempre l’ambiente scolastico.
«Il bullismo è un fenomeno tipico della scuola perché si verifica in un contesto in cui i ragazzi si conoscono e frequentano per un lungo periodo. Ma pochi ragazzi denunciano di aver subito (circa l’11%) e molti dichiarano di aver partecipato a prepotenze verso i compagni (il 37%). «Tra i giovani lucchesi abbiamo molti più bulli che vittime. Forse perché agli occhi dei ragazzi una vittima è sempre perdente mentre il “bulletto” è potenzialmente vincente e più attraente». La Menesini ha raccolto riflessioni di ragazzi durante i training di formazione e le discussioni di gruppo. «Molti ragazzi hanno lamentato che la situazione in città è diventata sempre più violenta e invivibile. Ma mentre alcuni anni fa c’erano scontri tra gruppi di appartenenza politica, ora i motivi sono banali: sguardi, ragazze, vestiti. Durante le risse c’è il gusto di guardare e spesso anche di unirsi e menare. Le ragazze invece lamentano la pericolosità di alcune zone delle mura che sono al buio. Ad esempio al Caffè della Mura dove si fa lo “struscio” serale. Inoltre dicono che ci sono pochi controlli della polizia». C’è un altro aspetto preoccupante.
«I ragazzi hanno paura di denunciare per le ritorsioni e non ne parlano con i genitori. Per qualcuno paradossalmente l’unica salvezza è unirsi ad una banda che lo protegga, rafforzando così questa spirale di violenza. I ragazzi, se da un lato chiedono aiuto, dall’altro sembrano intrappolati in modelli e stili di vita negativi». Adesso insegnanti e studenti hanno avviato percorsi di collaborazione per capire ed osservare il problema.
«Ora nella classi ci sono i “peer educator”, studenti che si sono formati sulle strategie per affrontare il bullismo e il cyberbullismo su internet. C’è anche una pagina web che si chiama “Non cadiamo in trappola”. Come studiosa e osservatrice del fenomeno invito le istituzioni a passare dalle parole agli impegni concreti affinché i ragazzi possano sentirsi più sicuri e tutelati nella loro città».

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